Archiva Ecclesiae: la sicurezza della memoria

Buone pratiche per una corretta gestione del patrimonio documentario ecclesiastico

 

L’universo delle fonti a disposizione degli storici è molto vasto e variegato, ed è questo sintomo di una pluralità di memoria nata intorno ai singoli eventi [1].

Ciò significa che il corretto metodo di indagine storica preveda l’analisi di più documenti (intesi nel significato più generico del termine) per poter offrire al lettore non tanto la verità storica quanto una ricostruzione il più possibile complessiva e attendibile.

Per la storia d’Italia giocano un ruolo decisivo le fonti dell’ambiente ecclesiastico, specificatamente cattolico, tra le quali si annoverano per ricchezza di materiale gli archivi.

Per comprendere la diffusione geografica di questo patrimonio si rimanda dalla piattaforma BEWeb.

Al di là di critiche e di orientamenti personali, gli archiva ecclesiae rappresentano realtà in cui l’aspetto amministrativo dei documenti si permea di vita quotidiana.

Le tipologie di documenti conservati negli archivi ecclesiastici

 

Le tipologie documentarie tipiche di questi complessi sono gli atti anagrafici e le visite pastorali; i primi, chiamati dal Diritto Canonico ‘registri sacramentali’, restituiscono le fasi della vita degli uomini e delle donne, dal battesimo alla morte.

Accanto a questi registri, merita ricordare gli ‘stati delle anime’, antesignani dei fogli di famiglia, che racchiudono informazioni sui nuclei famigliari.

Un’indagine più approfondita su questi registri può far emergere notizie sulla demografia, sui costumi famigliari e sociali, sui lavori, l’emigrazione, sul contesto urbano.

Un esempio che mi pare illuminante: l’assenza di atti di matrimonio per il 2020, in futuro, sarà testimonianza di un evento avverso.

Le visite pastorali prendono il posto, insieme ad altre relazioni, di istantanee delle località visitate dal Vescovo diocesano: si susseguono domande e risposte su aspetti storici e architettonici delle chiese, sul patrimonio dei benefici parrocchiali, sulla partecipazione della comunità (legati, testamenti, decime…), sulla vita spirituale e materiale del popolo.

Sono documenti preziosi, perché spesso tramandano informazioni le cui attestazioni originali sono andate perdute e perché consegnano uno spaccato interessante della società, sempre dal punto di vista del sacerdote che era l’autorità, a volte anche più valida e presente del Sindaco.

Con questa brevissima panoramica possiamo intuire l’importanza di questi archivi.

Dunque la loro sicurezza diventa fondamentale per l’intera ecclesia, intesa nel suo significato di ‘assemblea’ e, più esteso, di comunità.

Essi fanno parte a pieno titolo della memoria comune e vanno difesi e custoditi in modo da poter consegnare alle generazioni future buona parte di questo materiale.

E, come quasi tutte le tracce della memoria, soffrono di diversi problemi, che a volte sfociano in vere e proprie minacce all’integrità.

 

Archivi diocesani e archivi parrocchiali

 

Innanzitutto occorre specificare l’oggetto: gli archivi ecclesiastici infatti comprendono archivi diocesani, parrocchiali e di enti religiosi.

Tralasciando quest’ultima tipologia, c’è una grande differenza tra le prime due: gli archivi diocesani infatti sono soggetti riconosciuti, cioè con spazi propri, spesso con personale addetto, e sono destinatari di iniziative e contributi economici.

Al contrario, i complessi documentari parrocchiali fanno parte dell’ente ‘parrocchia’, che ha altri scopi e compiti, con un parroco pro tempore e, nei migliori dei casi, alcuni volontari nell’ufficio parrocchiale.

 

I rischi a cui sono sottoposti gli istituti ecclesiastici di conservazione

 

La scarsa sensibilità verso il patrimonio conservato

 

Il grande rischio di questi ultimi complessi documenti è che siano oggetto di cattive abitudini, dimenticanze, se non addirittura di spoliazioni, come è avvenuto in passato.

La scarsa sensibilità di cui tutti gli archivi soffrono è acuita da una diffidenza verso la Chiesa cattolica e anche da un’attenzione maggiore posta agli aspetti sociali, spirituali e caritativi dell’ente ecclesiastico.

Senza nulla togliere alla missione propria, questo ha delle ripercussioni sui beni culturali archivistici.

 

La carenza di parrocchie presidiate

A questo aggiungiamo la sempre maggiore esiguità del clero, l’unico ‘personale’ presente sul territorio e, letteralmente, a fianco degli archivi.

I sacerdoti sono sempre di meno e sempre più anziani, con il conseguente aumento di lavoro: come esempio, nella Diocesi di Cuneo, a fronte di 82 parrocchie, sono disponibili 43 sacerdoti residenti.

L’età media del clero diocesano si aggira oltre i 65 anni.

Si comprende che senza una presenza costante gli archivi sono esposti a rischi antropici elevati.

 

Le possibili soluzioni per una migliore gestione

 

Una soluzione è quella di spostare i complessi documentari nelle case parrocchiali presidiate; un’altra soluzione è quella di depositare le sezioni storiche presso l’archivio storico diocesano.

A questo proposito si apre un interessante dibattito: se si sottrae ad una comunità l’archivio, per conservarlo al meglio e valorizzarlo, come mantenere il legame necessario tra bene e contesto?

Le nuove tecnologie offrono soluzioni, ma il quesito rimane di fondo e deve rimanere in tutti i ragionamenti, al fine di non creare degli archivi-forzieri che sì garantiscono maggiore longevità, ma a scapito della vitalità intrinseca dei documenti.

Questi grandi rischi, la diminuzione del clero e la scarsa sensibilità all’archivio, sommati alla scarsa attenzione per la prevenzione, comportano un elevato rischio per il patrimonio archivistico ecclesiastico.

Così come i pericoli, anche le soluzioni possono essere innumerevoli, ma occorre scendere nel concreto della situazione.

Ci sono però due concetti che dovrebbero accompagnare i responsabili di questo patrimonio: conoscere e formare.

 

La conoscenza del patrimonio

 

Innanzitutto, la prima azione di mitigazione del rischio è conoscere il patrimonio: non è possibile proteggere efficacemente ciò che non si conosce.

La redazione di inventari archivistici ed inventari topografici è il metodo migliore per garantire la conservazione; anche la compilazione di semplici elenchi di consistenza o di versamento, curati da personale volontario, può essere un primo passo non scontato.

Grazie a questi strumenti di corredo, si può effettuare il cosiddetto community engagement, cioè coinvolgere la comunità di riferimento, attraverso iniziative di valorizzazione.

La promozione e la valorizzazione pastorale del patrimonio culturale permettono di avvicinare la popolazione alle testimonianze della propria memoria e così prendersene cura.

Se questa forma di conoscenza non avvenisse, la perdita di beni culturali non verrebbe percepita come un danno.

Conoscere e far conoscere mettono in azione un circolo virtuoso che coinvolge sia l’istituzione conservatrice sia la comunità sia l’interno territorio parrocchiale o diocesano, con possibili ricadute economiche positive.

 

La formazione del personale

 

Il secondo aspetto su cui è necessario investire per ridurre il rischio è la formazione.

Gli archivisti apprendono la teoria archivistica generale, ma occorre insegnar loro sia la specificità del materiale che trattano sia le buone pratiche di conservazione preventiva.

A questo aggiungiamo la preparazione a eventuali emergenze.

Accanto ai professionisti non bisogna dimenticare il mondo del volontariato, di cui la Chiesa dispone molto: è necessario infatti “condividere la corresponsabilità”[2] nella salvaguardia degli archivi attraverso momenti di formazione, così come cartellonistica e manuali.

Il linguaggio dev’essere semplice e diretto, perché possa essere compreso e messo in pratica anche in tempi di emergenza e anche da personale non addetto ai lavori, come il clero.

È proprio questa, infine, la categoria da formare, perché conosca la ricchezza che deve custodire e sappia fidarsi dei professionisti.

Il lavoro che la Chiesa cattolica ha intrapreso per la conservazione dei propri archivi ha compiuto numerosi passi avanti, alcuni dei quali visibili attraverso la piattaforma BEWeb.

Conclusioni

 

Le nuove sfide poste dalla situazione del clero e della Chiesa, oltre che della società intera, sottopongono il patrimonio culturale a diversi stress e pericoli.

La prevenzione è l’unica arma che nel presente si può brandire, con lo spirito espresso da questa frase dell’International Council of Archives: “Any action, however small or incomplete, is generally much more beneficial than no action at all” [3].

L’augurio è che gli archivi ecclesiastici sappiano sviluppare strategie vincenti per conciliare la consultabilità con la sicurezza e la missione pastorale, investendo in prevenzione e formazione.

 

 

[1] Cfr. U. Fabietti e V. Matera, Memorie e identità. Simboli e strategie del ricordo, Maltemi, Roma 1999, p. 94.

[2] Soprintendenza archivistica e bibliografica della Lombardia, Piano di conoscenza per la sicurezza di archivi e biblioteche, a cura di P. Mussini e L. Sassi, 2016, p. 4.

[3] ICA, Guidelines on Disaster Prevention and Control in Archives, 1997, p. 5

Martino Dutto

Membro del CTS SOS Archivi
Archivista e Risk manager